Home Preghiere e Riflessioni Testimonianze Essere laici nella Chiesa, oggi
Essere laici nella Chiesa, oggi

Essere laici nella Chiesa, oggi

di don Gabriele Cislaghi


Don Paolo mi ha invitato per offrirvi, questa sera, una riflessione molto semplice ma concreta su un tema che è da sempre, ma soprattutto in questi ultimi cinquant'anni, e tra poco capirete il perché di questo riferimento, un tema molto delicato ed urgente; ed essendo delicato ed urgente si dicono anche cose sbagliate su di esso, anche nei nostri ambienti.

Così don Paolo mi ha pregato di fare una sintesi delle cose più importanti che riguardano i laici nella Chiesa ed ha per questo invitato voi, che siete i Consiglieri eletti, ma anche tutti gli operatori pastorali e voi che siete, comunque, tutti laici di questa parrocchia.

Inizierò facendo subito una premessa molto elementare, ma tanto elementare quanto fondamentale, per il discorso che andrò a fare: ed è che il titolo “I LAICI NELLA CHIESA” presuppone anzitutto che si capisca che cosa è la Chiesa. Perché, se non si capisce che cosa sia la Chiesa, che cosa significhi appartenere a questo mistero che chiamiamo la Chiesa di Cristo, allora non ci si può porre alcuna domanda, nemmeno capire che ruolo ricoprano i laici nella Chiesa, perché se non si percepisce in qualche modo il mistero della Chiesa non si capisce nemmeno come porsi la domanda sui laici nella Chiesa.

Questa sera, io non spiegherò ogni cosa della Chiesa, perché non ne avrei il tempo, ma già le primissime cose che dirò stasera la riguarderanno in quanto tale, perché sarà la premessa necessaria per descrivere quale posto vi occupano i laici. Dicevo essere questo un tema delicato ed urgente, soprattutto in questi ultimi cinquant'anni, perché sapete che nel prossimo ottobre 2012 inizieranno le celebrazioni dei Cinquant'anni dall'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Il Concilio venne annunciato già nel 1959 ma i lavori iniziarono nell'ottobre del 1962, e tra le numerose e decisive cose che quel Concilio ha offerto a noi cattolici, ma non solo, questo tema del laicato è un tema che fu molto sviscerato.

Ed è su questo tema che io, personalmente ma non solo personalmente, ho qualche perplessità, perché, anche oggi si dicono cose sui laici, e si pretende le abbia asserite il Concilio Vaticano II, che il Concilio stesso non ha pronunciate, mentre la dottrina del Concilio Vaticano II è molto precisa ed equilibrata.

Credo che una rilettura dei punti essenziali di quella dottrina, che faremo questa sera, è importante, al di là di tante cose che si dicono, anche a sproposito, sui laici e soprattutto sul problema del rapporto tra preti e laici, che spesso diventa fonte di tensione dentro la comunità e la Chiesa, ciò che non dovrebbe accadere.

Christifideles laici”

Entrando nel merito, fornirei due dati elementari: il primo è che la parola 'laici' è parola fragile, ma non possiamo farne a meno. Per esprimere il concetto di laico, il Concilio dice che si trovano in questa condizione coloro che, nella Chiesa, non hanno ricevuto l'Ordine Sacro e non hanno fatto la professione religiosa di verginità, povertà ed obbedienza.

Voi intuite che questa è una definizione logica in negativo, in quanto per definire i laici si chiarisce cosa essi non sono, ossia si dice che 'i laici sono coloro che non sono vescovi, preti o diaconi, non sono suore, monaci, frati, eccetera'; ed è corretta, come definizione.

Il problema è che, per lungo tempo, nella Chiesa, questa definizione in negativo dal punto di vista logico, ossia definirli come qualcosa che non sono, è stata tradotta in una negatività essenziale: i laici sono stati trattati, o si sono sentiti, cristiani di serie B nella Chiesa, solo subordinati, funzionali, comunque dopo altri. Più cristiani, più bravi, più santi, più capaci i preti e le suore, poi c'era il mondo dei laici. Questo è un problema che ci portiamo dietro da tempo: la negatività logica, ossia lo spiegare i laici dicendo ciò che non sono; ma rimaneva il rischio che questa stessa negatività diventasse essenziale: i laici non sono importanti e non hanno valore di entità importante nella Chiesa.

Questo il Concilio lo ha superato in modo molto preciso: primo, dobbiamo passare dall'idea di laici come sostantivo, 'i laici', a laici come aggettivo. Il Concilio Vaticano II non parla mai di laici come nome, sostantivo: questa parola è sempre un aggettivo, per il Concilio; questo ci dice che laico non esprime, dunque, un'identità, ma esprime una qualità di un'identità.


Ma qual è questa identità? Il Concilio e, al suo seguito, in questi cinquant'anni, spesso, anche il Magistero della Chiesa Cattolica, parlano di Christifideles laici, ossia, in Italiano, di fedeli in Cristo, laici: il sostantivo non è laici, ma è (Christi) fideles; l'aggettivo è laici.

Già questo cambia molte cose: la vostra identità non è essere un laico, senza andare più in là, bensì essere un uomo o una donna fedele a Cristo, che, cioè, crede in Cristo, che, in quella fede, ha ricevuto il Battesimo e, per quella ragione, appartiene al Corpo di Cristo, che è la Chiesa.

Questa è la nuova identità in positivo, che, per lungo tempo, sembrava dimenticata. Quindi, Christifideles laici, dove la parola laici è aggettivo, non sostantivo e noi dobbiamo puntare al sostantivo; allora, dovremmo chiederci: qual è l'identità del laico? È quella di tutti i credenti in Cristo battezzati, prima ancora della distinzione delle vocazioni, in preti, suore o altro.

Io la delineerei in tre tratti positivi e comuni a tutti: il primo tratto è avere, come dono, anche se da alimentare, una relazione vera, buona e bella con il Signore Gesù, perché il cristiano è colui che vive una relazione personale con Gesù vivo e risorto, centro vitale della Chiesa.

Secondo tratto: questa relazione con il Signore Gesù il cristiano, ogni cristiano, la vive in un ambito fraterno e questo è il grande mistero della Chiesa, cioè che la relazione con il Signore produce ed è, allo stesso tempo, sostenuta dalla relazione autenticamente fraterna che ci lega, in quanto profondamente uniti nell'Unico Cristo.

Quindi, riassumendo: la buona relazione con il Signore, dentro una relazione autenticamente fraterna, che ci lega tutti, perché condividiamo la stessa fede, lo stesso Battesimo, la stessa appartenenza ad una famiglia, ad una fraternità, che è la Chiesa di Gesù.

Terzo tratto: tutto questo, cioè la buona relazione con il Signore, dentro una relazione fraterna, lo viviamo tutti in cammino verso il Regno di Dio, cioè in un cammino che ha, come meta, la Santità definitiva di ciascuno di noi: lo si chiami Paradiso, lo si chiami Regno di Dio oppure Vita Eterna, ma questo è l'obbiettivo, per cui siamo Chiesa e per cui camminiamo come Chiesa. Siamo Chiesa, perché abbiamo un rapporto con Gesù; lo siamo, anche, perché siamo fratelli, perché abbiamo un obiettivo certo, che è la meta verso la quale tutti si cammina, che è il Regno di Dio, la Santità, la Vita piena ed Eterna in Dio.

Questo è il concetto di Christifideles laici. Questo dobbiamo dire in positivo, perché è stupido chiedersi cosa faccia il laico nella Chiesa, stupida se viene posta come prima domanda, in quanto prima di chiedersi del fare, bisogna chiedersi dell'essere. Il nostro essere è Cristiano, prima di tutto, di nome e di fatto, perché curiamo la relazione con il Signore, curiamo le relazioni fraterne e ci preoccupiamo di diventare santi e di andare in Paradiso.

Allora, l'esercizio più importante non è cosa fare, non è fare il Consigliere o l'operatore pastorale, ma è essere un uomo o una donna che vive di Fede, di Speranza e di Carità, le tre Virtù Teologali, che hanno a che fare con i tre tratti che ho citato sopra: la buona relazione con il Signore (la Fede), la relazione autenticamente fraterna (la Carità), l'orientamento della nostra vita verso il Paradiso (la Speranza). Tutto ciò è fondamentale.


Quindi, la cura più importante, che la Chiesa deve avere e che, in particolare, i preti debbono avere nei confronti dei laici, è la cura della spiritualità e delle relazioni: questo deve essere l'assillo più importante dei laici, non quale spazio occupare, cosa fare, di quale autorità essere investiti o quale ruolo rivestire. Tutte domande inutili, se non si pone la prima domanda: che spiritualità ho, come coltivo la mia spiritualità cristiana, come m'impegno in buone relazioni quotidiane con tutti i componenti della comunità, belli o brutti, simpatici oppure no? Questo è importante, non le cose che facciamo, le iniziative che intraprendiamo, perché non servirebbero a nulla, se non contengono, prima, quanto abbiamo detto: l'esercizio della Fede, della Speranza e della Carità, curando la spiritualità, ossia vivendo una vita di fede, e le relazioni, ossia vivendo una vita che sia, davvero, di amore fraterno. Altrimenti, facciamo cose, costruiamo strutture, curiamo programmi pastorali, ma tutto risulta sempre più arido, sempre più vuoto, perché si ha la percezione, a volte, drammatica, che manchi l'anima. Ci si guarda e ci si domanda: “Ma dov'è la spiritualità, in tutto ciò? Dove sono le relazioni?”.


Altra cosa è laicità, nel senso cristiano, giacché, oggi, si parla di laicità dello Stato, come valore di autonomia ed indipendenza di esso da ogni confessione religiosa, ma è un altro argomento. La laicità dobbiamo trasformarla da categoria di settore a prospettiva complessiva. Per rendere la cosa più semplice, la parola 'laico' deriva da una parola del greco antico, con cui furono scritti i testi fondamentali della nostra fede, cioè i Vangeli, che è la parola laòs, che significa 'popolo' ed il Concilio ci ha ricordato che tutta la Chiesa è 'popolo di Dio', e tutti siamo 'popolo di Dio'; in questo modo, facciamo un'altra scoperta, cioè che, in realtà, tutta la Chiesa è laica, anzitutto, perché tutta la Chiesa è un popolo intero, che è posto nel mondo per servire il mondo.

La Chiesa non esiste per se stessa, per stare bene fra di noi: non ce ne faremmo nulla; siamo Chiesa per essere segno e strumento di Cristo per il mondo, per tutte le sue realtà, per tutti gli uomini, per tutti i popoli d'ogni epoca ed area geografica. Questa è la laicità: tutta la Chiesa è laica, nel senso che tutti ci sentiamo presenti nel mondo per il mondo; poi, ovviamente, all'interno di questa laicità comune, ci sono alcune vocazioni che servono a ricordare a questo popolo di essere segno di Cristo, e non di altro, e di essere in cammino verso il Regno. Queste sono costituite dai sacerdoti, che rendono sacramentalmente presente Cristo, Capo e Pastore, per cui la Chiesa non perde il legame con Cristo, attraverso la Parola, l'Eucaristia ed il governo della Chiesa stessa, e, poi, i religiosi ed i consacrati, che hanno quel compito, per mezzo della loro vita di verginità, di povertà ed obbedienza, di indicare quell'Oltre, che è il Regno di Dio.

Ma, prima di ogni cosa, noi tutti, preti, religiosi e laici, siamo popolo immerso nella storia, presente nel mondo, per dire al mondo qualcosa, per dare al mondo qualcosa, anzi, meglio, Qualcuno: la presenza viva di Cristo che è la Salvezza e la felicità per tutti.

Indole secolare dei laici

Allora qui capiamo qual è l'altro insegnamento del Concilio: il primo vi ho detto essere 'Christi fideles laici'; il secondo è espresso in questo modo: l'indole propria e peculiare dei laici è l'indole secolare. L'aggettivo secolare sta ad indicare 'qualcosa che è legato alla vita del mondo'. Tutta la Chiesa è immersa nel mondo e lo serve, ma, al suo interno, esiste chi deve occuparsi, in modo particolare, per dono sacramentale, delle 'cose di Cristo', come la Parola di Gesù, la carne di Gesù, la guida di Gesù e la cura pastorale di Gesù, e costoro sono i Vescovi, i sacerdoti ed i diaconi, e, poi, coloro che anticipano, in qualche modo, il Regno. Ciò significa che tutti gli altri, cioè i laici, hanno questa indole secolare, cioè hanno, come asse portante della loro vita, quella di essere strettamente legati a tutti gli ambiti della vita del mondo.

Userò, adesso, per farmi capire, delle metafore tratte dal Vangelo, perché sono chiare e semplici: l'impegno di essere luce, di essere sapore, cioè il sale, di essere fermento, cioè il lievito, delle realtà del mondo. Tutte queste cose le attuano i laici, perché hanno un diretto contatto con il mondo, anzi, il Concilio parla di 'stretto tessuto esistenziale', che significa che la vita concreta di ogni giorno dei laici è tutta impregnata della vita del mondo, ed è giusto definire così questo concetto, perché sono proprio i laici, in prima linea, a dover ordinare le cose temporali secondo Dio. Questo vuol dire essere luce, sapore e fermento delle realtà del mondo: gestirle e plasmarle secondo la verità del Vangelo.

Allora, la cosa più importante, per i laici, diventa il tema della testimonianza della vita. Vi ho detto prima che dobbiamo vivere di fede, di speranza e di carità, ma queste stesse virtù teologali non vanno vissute solo per se stessi, bensì diventano 'splendore' laddove si vive: la famiglia, il lavoro, le realtà sociale, economica e politica, il mondo dell'arte e della cultura, dello sport, il mondo di qualsiasi dimensione dell'umano, che, in quanto umana, non è estranea all'Amore di Dio. L'impegno in queste realtà, la famiglia, il lavoro, la professione, l'impegno sociale, economico e politico, l'impegno artistico e culturale, l'impegno sportivo, il tempo libero, sono tutte cose che i laici vivono, in maniera diretta, in presa diretta e qui hanno il loro primo compito: quello di far risplendere, con la loro fede, la loro speranza e carità, la verità, che può dare un senso a tutti questi ambiti, un compimento felice per tutti.


Riassumo: curare la spiritualità, curare le relazioni e, poi, curare la coscienza dei laici, formarla, e qui affiora il tema della formazione, affinché il loro impegno prioritario non sia dentro queste mura, perché il meglio di sé i laici non lo devono dare facendo i Consiglieri, gli operatori o partecipando alle riunioni; il loro meglio lo devono esprimere quando lasciano queste attività e tornano alle loro case, alle loro attività, in famiglia, al lavoro, a scuola.

Esiste, è vero, anche il tema della collaborazione all'interno delle nostre comunità, c'è e ci vuole, ma non è l'asse portante della vita dei laici, perché l'asse portante è l'essere bravi cristiani ed essere nel mondo. Ho quasi paura, quando il laico viene, per così dire, sequestrato negli ambiti parrocchiali e religiosi e gli si toglie il fiato, così che non riesce a far bene il marito, la moglie, la mamma, il papà, il nonno, il professionista o altro, perché viene sequestrato qui o, peggio, quando è il laico stesso che prende la parrocchia come alibi per non stare laddove, magari, ha più difficoltà, ma dove, d'altronde, è chiamato a dare il meglio di sé. Allora, fate attenzione, quando l'impegno di essere operatori pastorali od altro diventa qualcosa che sequestra o diventa un alibi, perché non va bene. Certo, uno può concedere tempo ed energie, come catechista, operatore od altro, ma ciò non deve essere il tutto della propria vita, perché il meglio della propria vita deve essere rivolto ad altra parte.


Questa è l'indole peculiare e propria dei laici: servire il mondo, perché il mondo ha bisogno di essere animato, al suo interno, illuminato, insaporito e fatto lievitare dalla testimonianza dei laici, perché i laici debbono operare lì, fuori, nel mondo, perché all'interno della parrocchia, pur essendo, magari, più comodo operare, non è il luogo migliore, operare all'interno della parrocchia non è il vero compito del laico e della Chiesa. Si deve costruire il mondo: il laico deve metter su famiglia e formare famiglie cristiane, occorrono laici che lavorino da cristiani, che si impegnino nell'amministrazione pubblica da cristiani, che facciano cultura cristiana, libri, teatro, cinema, occorre gente che sappia dire quali sono i valori autentici, per evitare di vedere in giro i valori meno autentici, meno cristiani, perché sono gli altri a fare cultura e noi passiamo per coloro che non sanno fare nulla, perché i laici vengono sequestrati e rinchiusi nelle cosucce di parrocchia: questo è un errore. Il laico deve stare 'fuori', nel mondo.

Naturalmente, c'è, anche, tutto un margine di lavoro interno da fare, ma questo è da intendersi in generale.


Abbiamo detto, dunque, dei due grandi capisaldi: il laico, prima di essere laico, è un Christifideles e, poi, l'indole secolare, secondo il Concilio, l'asse portante del laico che è la testimonianza per gestire, secondo il Vangelo, le cose temporali, le cose secolari, le realtà del mondo: tutte, queste, hanno bisogno di Cristo, necessitano di Vangelo.

Convinzione, Contentezza, Coerenza

Ebbene, io sono portato a parlare, in questi casi, e come presupposti, di una triade, che sono solito usare, anche, se si tratta di un giochetto con le parole. Questa triade è composta da tre 'c', che io, nella mia modestissima nullità, avevo inventato, prima che la usasse il Cardinal Tettamanzi, per un po' di anni. La triade del Cardinale era 'Comunione, Corresponsabilità e Collaborazione', che ci disse in tanti modi, per creare un coinvolgimento di tutti, anche dei laici, nella vita della Chiesa. Io, invece, ho sempre avuto come una fissazione, secondo la quale, prima di quelle tre 'c', ce ne erano altre tre, senza le quali non c'è comunione, non c'è corresponsabilità e non c'è nulla su cui collaborare e sono le seguenti: convinzione, contentezza e coerenza.

I laici sono chiamati ad essere uomini e donne convinti della verità del Vangelo, chi è convinto ha dentro di sé il tema della Vittoria Pasquale, nella sua vita ha vinto il Signore, è stato preso dalla grazia dell'amore di Dio. Se Gesù, per noi, non conta niente, è inutile ragionare sulla laicità o meno; la prima cosa è lasciarsi convincere dall'amore di Dio e dalla verità del Vangelo, perché solo con la convinzione si può essere luce, sale e fermento. Gesù stesso ce lo disse: “Se il sale perdesse il sapore, non servirebbe che ad esser gettato via e calpestato”. Ci deve essere, quindi, la convinzione e questa si alimenta con la formazione ed in tanti altri modi, per lasciarsi vincere dall'amore di Cristo e dalla Verità del Vangelo.

Poi, i laici sono chiamati ad essere uomini e donne contenti, un altro tema piuttosto delicato, perché lo si confonde, spesso, con l'emotività della nostra vita. La gioia del Vangelo, certamente, sarebbe l'ideale, se si traducesse in emozioni, ma noi siamo emotivamente fragili ed abbiamo le nostre 'lune', le antipatie, il carattere scostante di alcuni, il 'muso lungo' ogni tanto. A volte, anch'io, nelle mie omelie dico che “dobbiamo sorridere al mondo, altrimenti il mondo non crede alla nostra gioia del Risorto”: purtroppo, però, tutti abbiamo le nostre fragilità emotive, che dobbiamo saper gestire. Però, alla base delle nostre fragilità emotive, la giornata storta, le lacrime di qualche giorno, l'umore che non funziona o altro, alla fine, ci deve essere un momento in cui si realizza che, in Gesù, c'è qualcosa che è sempre positivo ed è la gioia di essere cristiano, la gioia dell'amicizia con Gesù. Infatti, se si è amici del Signore e si costruiscono amicizie nella comunità, si deve, anche, sapere che, se ci si rivolge a Lui o a qualche fratello della comunità, si dovrebbe subito recuperare l'umore giusto, perché si ritrova l'esperienza forte che riscalda subito il cuore. Questo è uno dei nostri problemi: cioè non la Pastorale, bensì che, quando ci si incontra, scatti qualcosa che permetta di recuperare la gioia d'essere cristiani e di esserlo insieme. Spesso, questo non succede ed è un grosso problema. Non sono le emozioni: queste sono così, hanno giornate altalenanti, per tutti; ma è ciò che sta alla base: convinzione e contentezza.

E poi, certo, anche coerenti. Qui c'è il grande tema della qualità morale della vita cristiana e della differenza cristiana. Di cosa si tratta? Ve lo dico secondo il Vangelo, perché, come al solito, Gesù è più semplice nel dire le cose: “ Se saluti solo chi ti saluta, cosa fai, di strano? Anche i pagani fanno così”. Quando Gesù fa questo discorso, sta spiegando cosa sia la differenza cristiana ed è ciò che ci dicono coloro che stanno 'fuori' dalla Chiesa, i quali lo dicono per crearsi un alibi per restare fuori dalla Chiesa, appunto, per farsi i propri comodi. Essi, però, hanno un po' di ragione, quando si chiedono: “Perché andare in chiesa, se, poi, quelli che ci vanno, si comportano come tutti gli altri?”. Un po' di ragione ce l'hanno. Però, essi non hanno il diritto di trasformare tutto ciò in alibi, per non impegnarsi nella fede: troppo comodo!

Ma a noi un po' ferisce questa cosa, perché c'è del vero: il cristiano dovrebbe sapersi distinguere, cioè dovrebbe impegnarsi nella qualità etica, che riguarda ciò che vi ho detto poc'anzi, cioè la famiglia, il lavoro, l'economia, la politica, lo sport, una qualità che dice che siamo coerenti con i comandamenti di Dio e con la legge del Vangelo, che, qualche volta, è anche scomoda. Queste sono le tre 'c' previe, per poi impegnarsi, anche concretamente nella Chiesa: cristiani, uomini e donne, convinti, contenti e coerenti, perché, altrimenti, 'facciamo iniziative'. Un'altra cosa è una reale, libera e voluta immersione nelle cose 'temporali'. Né sequestro, né fuga: ve l'ho detto prima, non lasciatevi sequestrare, né rifugiatevi nelle cose ecclesiastiche, perché i laici devono, in maniera libera e voluta, immergersi nelle realtà temporali e, in quella sede, accettare e rilanciare la sfida di essere testimoni del Vangelo. In definitiva: non lasciatevi sequestrare e non rifugiatevi negli ambienti 'protetti e sicuri' della parrocchia, non essendo questo ciò che vi è richiesto.

Tre compiti – 1. Il sacerdozio comune dei fedeli

Altro passaggio: per sottolineare quanto sopra, il Concilio ha usato un altro schema, che deriva dalla Bibbia ed è poi stato elaborato nel corso dei secoli, che è legato ai tre compiti di ogni battezzato, ma acquistano un valore particolare per le singole vocazioni: sono il compito sacerdotale, il compito profetico ed il compito regale.

La dottrina cristiana ci insegna, infatti, che ogni battezzato in Cristo è sacerdote, profeta e re. Ed ecco uno dei temi cari all'Episcopato ed in particolare al Cardinale Tettamanzi: recuperare il cosiddetto sacerdozio comune dei fedeli. Qui viene la mia obiezione. “Chi sei tu, per obiettare al Cardinale Tettamanzi?”, direte voi. Con tutta umiltà, vi dirò che non voglio dire che ha detto qualcosa di sbagliato, ma l'enfasi che, in casa nostra, per così dire, si è data a questa categoria, ha creato molta confusione, soprattutto nelle coscienze più semplici, che hanno in mente che il sacerdote è il prete e basta. È stato enfatizzato, inoltre, un utilizzo, secondo me, parziale e riduttivo del laico, del cristiano, per insistere sul tema della collaborazione e della corresponsabilità interna alla Chiesa, che certamente è necessaria, come, ad esempio, il tema della ministerialità, secondo cui ci sono diversi compiti e ministeri, che debbono essere distribuiti fra tutti, perché tutti ci si senta protagonisti e ci si dia una mano, cosa buonissima, però il sacerdozio comune dei fedeli deve essere conciliato con l'altra tesi, di cui abbiamo già parlato, la più importante, che asserisce che l'asse portante dei laici non è all'interno delle strutture ecclesiastiche, ma all'esterno, nel mondo. Allora sembra esserci come un corto circuito, se utilizziamo questo tema decisivo, secondo cui tutti i battezzati sono sacerdoti, per dire che tutti dobbiamo fare qualcosa dentro la comunità. Non è vero: c'è bisogno, certo, che tutti ci si dia una mano, per portare avanti le iniziative della comunità, ma, ripeto, quello non è l'asse portante del laico. Allora, che cosa s'intende per sacerdotalità del laico?


Lo spiegherò in maniera schematica, perché, altrimenti occorrerebbe molto tempo. Il sacerdote, in qualsiasi religione, è l'uomo di mezzo, in altre parole è colui che ha il compito di creare un 'ponte' tra Dio e gli uomini: gli uomini cercano Dio e cercano, da Lui, dei benefici per la loro vita. Le religioni sono definibili come le esperienze con cui l'uomo cerca, si crea o trova Dio e tutte, passate o presenti, a noi vicine oppure lontane, tutte hanno figure sacerdotali, ossia quelle figure che hanno il compito di fare da 'mediatore' tra il cielo e la terra, tra Dio e l'uomo. Ciò vale per ogni religione. E qual è l'atto fondamentale del sacerdote? Di solito è un atto rituale: è l'offerta di 'sacrificio'. Si ode già nelle parole, il legame: sacerdote e sacrificio hanno, ambedue, al loro interno, la radice di sacro: l'uomo che unisce il mondo, l'umano con il sacro, Dio, gli dei, la divinità. E 'fare un sacrificio' significa 'fare qualcosa di sacro', cioè un'offerta rituale, che possa dire come gli uomini lodano Dio e come Dio, guardando il sacrificio, dona agli uomini benedizioni, perdono dei peccati e felicità nella vita. Questo è lo scambio: quindi, il sacerdote è colui che, offrendo qualcosa a Dio, dice: “Noi, o Dio, Ti vogliamo bene, crediamo in Te, ci affidiamo a Te, Tu dacci benedizione, guarigione, perdono dei nostri peccati. Dacci salvezza”. Questo è il compito del sacerdote: in tutte le religioni del mondo, compresa quella ebraica, che ci viene raccontata dall'Antico Testamento, il sacerdozio ha una funzione rituale; c'è, infatti, il tempio, i sacrifici animali, tutta una struttura liturgica, insomma, attraverso cui il popolo di Israele professa la sua fede in Dio e, da Lui, aspetta benedizione, perdono e salvezza.

Gesù ha cambiato tutto: Gesù, che, nel Nuovo Testamento verrà definito Sacerdote Unico ed Eterno, è colui che realizza l'incontro tra Dio e gli uomini, anzitutto, in sé stesso, essendo Vero Dio e Vero Uomo e, in quell'unicità di Gesù, davvero, l'umanità e la divinità diventano profondamente stretti, ma, soprattutto, Gesù realizza il sacrificio non più rituale, ma ci mette, addirittura, sé stesso: Egli non sacrifica animali, non offre piante, ma dà la propria vita sulla croce. Questo è il Suo atto sacerdotale.

In quell'atto, cosa fa Gesù? Gesù, come ogni sacerdote, glorifica Dio e santifica gli uomini. Ma in che maniera lo fa? Lo fa attraverso due atteggiamenti: l'obbedienza e la solidarietà. Fissatevi bene in mente questi due aspetti, queste due parole, perché, in breve, arriveremo a capire cosa sia la sacerdotalità dei laici.

Immaginate la figura della croce, cosa che rende la cosa più comprensibile. L'asse verticale della croce costituisce l'asse su cui Gesù muore, offrendo tutto al Padre ed in obbedienza alla volontà di Dio, che l'ha mandato nel mondo per salvarlo; ci sono, poi, le braccia tese di Gesù, che sono il gesto dell'abbraccio, della solidarietà, per cui, in croce, Gesù muore, per essersi reso solidale con tutti i peccatori, avendo portato su di sé i peccati di tutti gli uomini ed avendoli sconfitti, con la sua croce.

Gesù è sacerdote senza riti, per aver abolito quel tipo di sacerdozio, bensì con la propria vita, una vita spesa in obbedienza al Padre ed in solidarietà con i fratelli. Ecco il sacerdozio comune dei battezzati! Anzitutto, dei battezzati: il Battesimo ci ha inseriti in Cristo. Questo significa che noi siamo chiamati a vivere le due coordinate di Gesù: obbedienza e solidarietà. L'aggettivo comune serve a specificare, che, nella comunione della Chiesa, siamo tutti sacerdoti, non ciascuno per suo conto; ma insieme, in quanto fedeli e battezzati, noi possiamo glorificare Dio, come il sacerdote offre il sacrificio per dare gloria a Dio e per ottenere, da Dio il bene per gli uomini. Noi tutti, dunque, glorifichiamo Dio ed otteniamo la santificazione del mondo, non con dei riti, ma con l'obbedienza alla volontà di Dio e con la solidarietà con tutti i fratelli, soprattutto quelli più poveri. Questo è il sacerdozio comune: non tanto fare l'operatore pastorale, per cui chiunque lo può fare, perché chiunque è sacerdote e non soltanto il prete. Queste sono sciocchezze ormai superate, si tratta di seguire la giusta organizzazione. Si potrebbe dire: “Sono sacerdote, non perché faccio qualche cosa durante la Messa oppure occupo un ruolo nella parrocchia; perché anche coloro che non ricoprono alcun ruolo, a volte, possono essere migliori di me, perché hanno capito che vivere bene l'affetto coniugale, l'amore dei figli, fare il nonno, svolgere la professione, seguire i propri turni lavorativi o impegnarsi in qualche attività, in quei momenti e luoghi si offre la propria testimonianza di vita, obbedendo ai comandamenti di Dio e vivendo la solidarietà con tutte le persone che s'incontrano”.

In questa maniera si è sacerdoti, non compiendo dei riti o facendo 'cose' in parrocchia, ma vivendo tutta la propria vita come offerta a Dio: in questo modo si dà gloria a Dio, in questa maniera si santifica il mondo, se con la propria vita, fatta di tante cose, si obbedisce a Dio e si è solidali con gli uomini e, in tal modo, ci si rende davvero sacerdoti, come Cristo, il quale non ha compiuto dei riti, ma ha dato la vita, la propria vita, in obbedienza e solidarietà. Così è il sacerdozio di tutti.

Il Concilio insegna che l'offerta di sé stessi e di tutte le proprie attività, come la preghiera, l'iniziativa apostolica (ad esempio di quest'ultima, c'è il Consiglio Pastorale), la vita coniugale e famigliare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale (ad esempio, l'andare in piscina o al cinema, sono esperienze sacerdotali, se vissuti come offerta di belle cose a Dio, per il mondo), se vissute con passione, dove la parola 'passione' richiama, volutamente, la 'Passione' di Cristo, con amore, in quel frangente si è sacerdoti, perché, in quanto battezzati, tutto diventa 'offerta gradita a Dio', che può salvare il mondo, perché si vivono bene, in quel modo, le proprie cose ed attività. Anche “le molestie della vita, cioè i disagi, le malattie, i drammi, – dice il Concilio – sopportate con pazienza, si offrano, unite al sacrificio Gesù”.


Detto questo, il Concilio arriva a dire una cosa, a mio avviso, bellissima: “i laici sono adoratori, dovunque, santamente, consacrino il mondo a Dio”. Ecco ben descritto il laico-sacerdote: non colui che si occupi di qualcosa durante la Messa, ma colui che consacri il mondo a Dio; lo consacra, perché vive le realtà del mondo e le vive come offerta gradita a Dio. All'interno è poi, descritta anche la possibilità di dare qualche collaborazione alla vita della comunità, che ne ha grande bisogno, ma quello citato più sopra è il perno centrale.

Naturalmente per fare ciò occorre essere formati dalla Parola della Croce, occorre nutrirsi della forza della Croce ed essere indirizzati a seguire la Croce: per questo i laici hanno bisogno di una casa comune, dove andare ad ascoltare la Parola, la Lectio Divina, la catechesi, eccetera. Hanno bisogno di celebrare l'Eucaristia, che non è, per noi, un rito, ma è ripresentare e partecipare del sacrificio esistenziale di Cristo, per poi tradurlo nella nostra vita: per questo si va a Messa. Ecco che scorgiamo un altro problema: ancora non s'è capito che la Messa non è un atto di devozione, che finisce al termine della Messa; l'Eucaristia è una celebrazione che ha senso se inizia non appena si esca dalla chiesa, dopo la Messa; se si traduce in una vita donata, come quella di Gesù. Purtroppo, noi viviamo ancora in un Cristianesimo di pratiche religiose, sacramentali, staccate dalla vita.

Tornando al tema: la Parola, l'Eucaristia e poi la conduzione del Papa, dei Vescovi, dei sacerdoti, che sono un pungolo costante e ci ricordano quale sia la strada su cui camminare; quindi certamente necessitano di una struttura, sia la chiesa che si è recentemente costruita, sia la parrocchia, nel suo insieme; certamente, esse richiedono luoghi, possibilmente, belli e funzionali, che ci aiutino a prendere quel respiro, quella forza, ma dobbiamo prendere questo respiro e questa forza per poi 'uscire'!

Allora per tutto ciò che c'è da fare all'interno, cioè per pulire, per mantenere, per sostenere, c'è bisogno di tutti, nei limiti del possibile, ma poi non si deve restare qui, si deve uscire, andare nel mondo, dove i laici devono essere in prima linea. Ecco che ricordiamo ancora il famoso asse portante: non per dimenticare l'interno della parrocchia, in quanto questo serve, allorché si ritorna per ascoltare la Parola del Signore, mangiare il Corpo del Signore, sentire quale sia l'indicazione pastorale del Signore, rappresentata dal Papa, dai Vescovi e dai loro collaboratori e per camminare, davvero, su questa strada.

In definitiva, tu sei sacerdote non perché fai qualcosa in parrocchia, ma il tuo sacerdozio lo esprimi dovunque e sempre, se tutto, per te, è offerta, poiché vivi la tua vita, dal primo respiro del mattino finché ti corichi la sera, sonno compreso, in obbedienza e solidarietà. Queste sono le coordinate di un vero sacerdote, che consacri il mondo a Dio.

Tre compiti – 2. Profeti

Profeta: su questo non insisto. L'idea di profezia è l'idea di saper dire il Vangelo. È un termine legato al tema della testimonianza, sono simili. Essere profeta vuol dire 'saper leggere' il tempo in cui viviamo alla Luce della Parola di Dio e, quindi, saper raccontare le meraviglie di Dio, saperle trasmettere. Questo lo possiamo fare tutti: il Magistero è proprio solamente del Papa e dei Vescovi, che hanno il carisma di indicarci la verità di dottrina e di morale che deve plasmare la nostra vita, ma la capacità di trasmettere la fede può essere di tutti, degli educatori, in prima istanza, ma anche di tutti coloro che sanno raccontare qualcosa del Vangelo e, in tal modo, sono profeti, interpretano il tempo che viviamo e sanno dire parole di Vangelo in ogni situazione.

Tre compiti – 3. Re

Il compito regale, cioè essere re, viene descritto dal Concilio come essere al servizio del Regno. Sono, essenzialmente, due gli ambiti tradizionali dell'esercizio regale: il dominio di sé e il dominio sulle creature. La parola dominio è stata scelta appositamente, per ché ha a che fare con l'idea di regalità. Poi, si tratta della regalità dei laici, non chissà quale autorità. L'autorevolezza di ogni cristiano, e dei laici in modo particolare, si esprime, come dicevo, soprattutto nel mondo, nella capacità di dominare sé stessi, qui si apre tutto il tema della lotta spirituale, della qualità etica della propria vita, il dominio di sé stessi, il sapersi controllare, il saper plasmare la propria vita secondo il Vangelo; susseguentemente, il dominio delle creature, da 'Genesi 1', quando il Giardino è affidato ad Adamo ed Eva e da essi custodito, dove nasce l'impegno lavorativo, il modo in cui la regalità si esprime. Essere 'ad immagine e somiglianza di Dio' vuol dire due cose: uomo o donna, l'amore, l'esercizio famigliare dell'amore è una delle forme principali di quest'immagine di Dio, ma, anche, la capacità di creazione. Creare, ricreare, plasmare, lavorare questo mondo: qui c'è tutto il genio dell'uomo, che è capace di essere re, perché è capace di fare le varie cose che abbiamo citato. Allora, penso ai laici, perché i preti non hanno né il tempo, né la capacità di farlo: che esprimano il loro genio in tutte le situazioni, nel lavoro, nell'economia, nella politica, eccetera. Ecco la regalità dei laici: non il desiderio di avere un potere 'all'interno' della Chiesa, perché questa ha solo potere di 'servizio'. Quello del Papa, dei Vescovi e dei preti non dovrebbe essere un potere, se non nel senso che è segno sacramentale dell'unica autorità, che è quella di Cristo e del Vangelo, al cui servizio stanno il Papa, i Vescovi, i preti, eccetera.

Ma, ripeto, la regalità del laico non si esprime nel desiderio di potere, che è una specie di 'logica sindacale', non propria della Chiesa; la logica della Chiesa è quella che egli è re avendo per sua vocazione il dono ed il compito di saper plasmare, con il proprio lavoro, con il proprio amore, questa storia e questo mondo. I laici sono sacerdoti, perché tutto è offerta; profeti, perché ci sono sempre buone occasioni per dire a tutti la propria fede; re, perché, dominando sé stessi, si può dominare questo mondo, cioè crearlo e ricrearlo, secondo il progetto di Dio, facendone una cosa bella, nel rispetto di tutti i compiti.

Laici e sacerdoti

Si capisce, quindi, qual è la funzione che deve avere il sacerdote, il quale condivide comunque con i laici quanto detto prima: un buon rapporto con il Signore, relazioni fraterne, camminare verso il Paradiso, cui si aggiunge un compito particolare, cioè quello di essere segno e strumento di Cristo, capo e pastore della Chiesa. In ciò, egli è insostituibile. In questi ultimi anni, in proposito, ci sono stati discorsi e derive sbagliati, che sono andati sotto diversi titoli, del tipo: clericalizzazione dei laici, cioè la valorizzazione del laico, assimilandolo al prete, uno dei più madornali errori che si possano commettere; laicizzazione del clero, ossia, per togliere un po' di clericalismo dal mondo temporale. Invece, il prete deve fare il prete ed il laico deve interpretare sé stesso: questa è una semplice e preziosa regola. Lazzati (1909 – 1986) ha dato, in proposito, una formula bellissima per definire i laici: “Essere cristiani nel mondo e laici nella Chiesa”. Infatti in chiesa occorre mantenersi laico, non ci si deve confondere o sovrapporsi a uomini o donne consacrati. Si deve rimanere laici, in chiesa; nel mondo, invece, si è cristiani in prima linea. Si eviti, pertanto, di fare confusioni: i preti facciano i preti, i laici siano laici; questa è una vera sinergia, per un compito ecclesiale.

I preti hanno poi il compito di garantire, soprattutto, tre ambiti, che massimamente coinvolgono i laici: la dottrina, il rito ed il diritto. Anche qui ci siano collaboratori; ma sulla dottrina della fede, ossia la garanzia che la comunità cresca sulla dottrina autentica della Chiesa, sul rito, quello buono, vigente nella Chiesa, e sul diritto, ossia che si faccia tutto obbedendo alle regole della legge della Chiesa, ebbene, tutte queste tre cose richiedono l'investimento fondamentale del Ministro Ordinato. Certo, costui avrà catechisti che collaborano per insegnare la dottrina, avrà ministri laici che l'aiutano a celebrare delle belle liturgie, avrà una segreteria e dei collaboratori economici per la gestione di tutte le cose, secondo la legge della Chiesa, ma la garanzia ultima è costituita proprio da lui, dal Ministro Ordinato, dal prete. Tutto il resto è spazio che è lasciato alla vera autonomia dei laici.

Comunione, Corresponsabilità, Collaborazione

Terminiamo riprendendo la triade citata in precedenza: comunione, corresponsabilità e collaborazione. Avevamo detto che si deve essere convinti, contenti e coerenti: se mancano queste tre cose, bisogna tornare a lavorarci sopra e lasciare perdere il resto. Lavorando bene su quelle tre, poi, si sperimenta la comunione, cioè davvero apparteniamo ad un'unica realtà, ad un unico corpo, come descrive S. Paolo: “organi diversi, che appartengono ad un unico corpo”, dove gli organi hanno cura gli uni degli altri e gioiscono delle gioie degli altri.


Segue la corresponsabilità: questa non significa dividersi il potere, perché nella Chiesa non funzionano gli schemi della politica, nemmeno della democrazia parlamentare o del sindacato dei lavoratori. La Chiesa è un mistero di comunione in Cristo, tra fratelli. Vi descrivo il significato di corresponsabilità, come la intendo io: il prefisso 'con' vuol dire 'condividere', condividere un responsabilità. A sua volta, il termine 'responsabilità' indica una 'abilità, capacità a rispondere'. La corresponsabilità, che tutti dobbiamo 'sentire', in parrocchia, non significa che ognuno possa dire ciò che vuole, che tutti abbiano, per così dire, voce in capitolo, è condividere, anzitutto, una capacità a rispondere e, per rispondere, bisogna sviluppare anzitutto la capacità di lasciarsi interrogare e saper interrogare e, quindi, ascoltare. Questo è la corresponsabilità: bisogna condividere l'ascolto di Dio, che parla; del Magistero della Chiesa, che parla; e ci danno risposte alle nostre domande. Dobbiamo ascoltarci gli uni gli altri e, in particolare, ascoltare la vita, l'amore ed il dolore delle persone.

Questa cosa io, personalmente, l'ho imparata meditando l'incontro tra Gesù e la donna Cananea: lo ricordate? È la donna che molesta Gesù, perché sua figlia è gravemente malata e Gesù, all'inizio, la ignora completamente. Gesù non le risponde nemmeno, mentre gli apostoli gli chiedono di esaudirla per levarsela di torno. Egli, invece, è deciso a negarle il suo aiuto, perché, dice, è venuto solo per “radunare le pecore perdute della Casa d'Israele”. Ma questa donna grida la sua disperazione, fa tutto il discorso del cagnolino e, alla fine, Gesù 'cambia idea', si 'converte': si era, dapprima, irrigidito, asserendo d'esser venuto solo per le pecore d'Israele, ma, poi, ascoltando l'insistenza della donna, ma soprattutto ascoltando la vita, l'amore, giacché essa è madre, ed il dolore, essendo lei una madre con figlia malata, ascoltando ciò, Gesù si rende conto di non essere venuto solo per 'quelle' pecore, bensì per tutti.

Ora, se Gesù ha vissuto anche Lui una conversione, perché ha ascoltato quella donna, allora la Chiesa è corresponsabile quando condivide la capacità di dare risposte alle grandi domande che nascono dalla vita, dall'amore e dal dolore. Ecco la corresponsabilità della Chiesa e del laico, una cosa assai diversa dal desiderio di condividere poteri. Allora, dobbiamo condividere questa capacità di rispondere alle domande più importanti e, per far ciò, dobbiamo lasciarci interrogare, interrogare gli altri, ascoltare la Parola, il Magistero della Chiesa, poi, su tutto ciò, possiamo elaborare insieme dei percorsi.


Infine, la collaborazione, che significa 'lavorare insieme'; ma io, alla collaborazione, sono solito aggiungere due cose: saper lavorare e lasciar lavorare, perché sono due aspetti un po' trascurati.

Saper lavorare; lo dico con tutto il rispetto, ma oggi in questo recupero, dovuto anche a motivi contingenti, di impegno diretto dei laici nelle cose della Chiesa, si dimentica che prima, o almeno contemporaneamente, è richiesta la 'formazione', perché il dilettantismo è una grossa piaga. Vi faccio l'esempio più delicato, in assoluto, che è già decennale, e che è fare il o la catechista: con tutta la buona volontà e la generosità di tante persone, se non c'è una formazione preventiva, si rischia di fare molta fatica. Ciò vuol dire imparare a lavorare, pian piano, secondo le proprie competenze e talenti, giacché ognuno ha quel qualcosa da mettere in campo. Non tutti possono fare tutto; il tema della competenza, della formazione, è importante, perché troppo si parla di collaborazione dimenticando che, per lavorare insieme, bisogna saper lavorare: si deve ricorrere alle competenze, alle formazioni, altrimenti si è dilettanti.

Poi, bisogna lasciar lavorare. Questo è riferito alla mia categoria, dei preti: ci sono parroci un po' emancipati che chiedono ai laici questo e quello, ma bisogna sapere che, se si vuole un laico corresponsabile, costui sarà capace di rispondere, per cui non lo si dovrà zittire né tanto meno frenare, allorché ci sia una distribuzione di cose pratiche, cioè lo si dovrà, appunto, lasciar lavorare. Altrimenti che collaborazione sarebbe, se gli si affidasse un incarico ma poi, mancando la fiducia, si continuasse a chiedergli conto, più e più volte? Certamente ci deve anche essere l'onere del discernimento, il decidere insieme (ecco a che serve il Consiglio Pastorale) e della verifica, poiché bisogna verificare, prima o poi, se si stanno facendo bene le cose. Però, se si collabora, insieme, allora bisogna distribuire il lavoro, secondo formazione e competenza (saper lavorare) e secondo rispetto e libertà (lasciar lavorare), perché, altrimenti, avremmo emesso un bel principio, che però farebbe subito corto circuito, non permettendo a ciascuno di portare aventi le proprie iniziative. È chiaro che se un parroco responsabilizza una persona, ma poi ogni volta che questa persona necessita ad esempio di una chiave deve chiamare il parroco stesso, allora saremmo daccapo. Occorre una stima vera, una capacità vera di essere tutti adulti e, quindi, di camminare veramente. Ci saranno, ovviamente, dei momenti comuni in cui discernere e verificare, prima e dopo, e il Consiglio Pastorale, diciamo così, è lo strumento simbolico di maggior importanza, anche, se non l'unico, ma poi tutto deve realizzarsi; nella comunione, impariamo una corresponsabilità, cioè impariamo a condividere la capacità di rispondere a ciò che ascoltiamo e poi lavoriamo. Ma, per lavorare insieme, dobbiamo saper lavorare e rispettare, cioè lasciar lavorare. Queste due cose, laddove un laico le maturi e le faccia proprie, si ricordi sempre che non devono diventare (salvo eccezioni di carattere professionale, cioè quando diventi il lavoro di quel laico fare l'operatore pastorale) un'esclusiva: bisogna uscire e vivere il mondo.


La prova che quanto detto finora ha un senso, è la domanda sul ruolo di tanti laici: se si interpreta l'importanza dei laici sulla base della capacità operativa all'interno delle strutture ecclesiali, si 'uccide', per così dire, una grossa fetta di persone, quali gli anziani, gli ammalati, i disabili gravi. Tutti costoro non fanno nulla, perché non 'possono' e non sanno fare nulla: ma, allora, non sono cristiani? Non sono laici? Non sono membra vive della Chiesa? Oppure sì? Eppure non sono in grado di fare nulla... Ma noi sappiamo che anche una persona gravemente disabile va battezzata, la inseriamo nel mistero di Cristo e della Chiesa e quella persona è, a pieno titolo, sacerdote, profeta e re. È laica; ma come lo è? Pensate ad una persona che non abbia capacità cognitive, quasi in stato vegetativo, come può essere tutto ciò? Ma cosa fa? Fa qualche cosa? Per noi però è una presenza, perché una persona, in quelle condizioni, può solo lasciarsi amare, non sapendo nemmeno rispondere all'amore. E questa, per il Vangelo, è una delle cose più importanti che si possano imparare. Costoro 'fanno' molto di più di altri e sono, a pieno titolo, cristiani e membra vive della Chiesa. Questa è la cosiddetta 'prova del nove' per confermare che non si deve misurare l'impegno dei laici con le cose o le attività espresse da loro in parrocchia, perché in questo modo trascureremmo un buon numero di persone, come le persone citate in precedenza, che non hanno neppure la possibilità o la capacità di fare altrettanto oppure coloro che, come per esempio i miei genitori, non hanno mai fatto, operativamente, qualcosa in parrocchia, perché avevano una famiglia piuttosto numerosa da mantenere e seguire, e non hanno avuto la possibilità né la volontà di fare cose in parrocchia, ma secondo me hanno vissuto una testimonianza laicale nella Chiesa, per me e per i miei fratelli, esemplare. Non hanno mai fatto niente nella loro parrocchia, né i catechisti, né gli operatori, per tante ragioni; ma per me sono stati una testimonianza importante, perché hanno vissuto famiglia e lavoro, le cose che hanno 'preso tutto' della loro vita, in maniera cristiana. E questo, credo io, li ha resi la testimonianza di una vita cristiana, che hanno poi trasmesso a noi figli.


Quindi, per concludere, Christifideles, indole secolare, l'asse portante del mondo: ricordate di non farvi sequestrare e di non rifugiarvi negli ambienti ecclesiali, perché la Chiesa deve abitare il mondo e servirlo, mentre voi siete lì, in prima linea; poi, certo, la comunità è necessaria, perché è il luogo in cui nutrirsi di Parola, di Eucaristia e di quella cura pastorale che ci indirizza sempre lungo la strada del Vangelo. Quindi, ci sono, anche, iniziative da portare avanti corresponsabilmente e collaborativamente e, quindi, anche il Consiglio Pastorale che si riunisce periodicamente, ma, poi, il respiro deve essere al di fuori ed è la cosa più importante che deve accadere.



Sesto S. G., Parrocchia della Resurrezione, 28 marzo 2012