Preghiera “O trinità divina, limpida fonte a cui bevendo l’anima assetata si ristora, donaci di riprodurre fedelmente in noi i tratti del tuo volto. Volto di Padre che ama, volto di Figlio che si dona, volto di Spirito che consola. Possano i nostri fratelli vederti e sentirti vicino nella verità delle nostre parole, nella bontà delle nostre azioni, nell’umile trasparenza del nostro amore”. Così sia. Il seme che muore: La “Preghiera” “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12.24). In questi ultimi tempi, con la rinnovata attenzione alla Bibbia, si è corso il rischio di pensare che basti leggere e discutere sulle Scritture per vivere di esse. Non raramente, una superficiale quanto gratuita contrapposizione della lectio divina alle pratiche di pietà di un tempo ha fatto smarrire la consapevolezza che l’una e le altre hanno il loro senso compiuto se aprono all’incontro con Dio nella preghiera. Da questo punto di vista, bisogna avere l’umiltà di riconoscere con ammirazione il grande spirito di preghiera di quanti ci hanno preceduto nel cammino di fede, e che rimane per noi un esempio e talora una mèta tutta da raggiungere. Arrivare a pregare la Parola non è sempre facile. Noi siamo anzitutto “uditori della Parola”; la lettura e la meditazione costituiscono un unico atteggiamento di ricezione di questo volgersi a noi di Dio. Ma sarebbe un dialogo incompiuto se non ci fosse da parte nostra una risposta che è appunto la preghiera come forma propria di amore e di obbedienza. Il momento della preghiera coincide con il dramma di avvertire le conseguenze che la Parola ha sulla nostra vita concreta, sulle nostre scelte e sui nostri affetti. Il contatto con la Parola, infatti, non ci può lasciare come prima, ma mette a nudo la nostra povertà, la nostra vulnerabilità, il nostro bisogno di Dio e del suo aiuto. La stessa esperienza del graduale abbandono di Gesù al Padre, che raggiunge il suo culmine nell’amarezza infinita e nel terribile “disgusto” del Getsemani, ci indica cosa significa amore ed obbedienza alla Parola, che cosa significhi fare attecchire in noi il seme della Parola fino ad accettare di con.marcire assieme ad esso, per portare il frutto desiderato dal Seminatore. Bisogna far sì che questa Parola reagisca dentro di noi al cospetto di Dio, dove siamo stupendamente e tremendamente soli e, per ciò stesso finalmente umani. Non bisogna temere di sentire il male che la Parola ci fa e talora la paura che a volte ci chiede: l’essenziale è non fuggire, facendo finta di non aver tempo o di avere qualcosa di più utile a cui dedicarci. La preghiera – dicono i padri – è l’opera somma dell’uomo ed è la via regale per divenire veramente fratelli solidali non a partire dalle nostre forze, ma a partire dalla coscienza della nostra debolezza. Lasciamoci toccare dalla Parola, se ciò che abbiamo letto e meditato partendo dal libro delle Scritture ci ha toccato e interessato, non possiamo che sentire dentro di noi una “trafittura”, come quella che sentirono le folle al mattino di Pentecoste alla fine del discorso di Pietro: “si sentirono trafiggere il cuore e dissero: “che cosa dobbiamo fare fratelli?” (At. 2,37). Ma prima di “fare” bisogna pregare!
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